Oggi parlerò di uno spettacolo che ha fatto
molto discutere nella mia Regione.
“Sacrificio” è una rappresentazione nuova sotto molti punti di vista.
Come progetto viene concepito moltissimo tempo fa, nelle menti di
Jacopo Laurino ed Elena Galvani, i giovani ideatori di questo nuovo modo di
fare teatro chiamato SLOW-THEATER, nonchè registi di questo spettacolo.
A me, che ho avuto l’ onore di conoscerli, piace immaginarmeli tranquilli seduti al tavolino di un bar di Taio, lui intento a sorseggiare l’ amaro, lei occupata a leggere le notizie di cronaca regionale sull’ Adige, quando ad un tratto entrambi si illuminano, si guardano negli occhi e si dicono una sola parola: Slow-theater.
A me, che ho avuto l’ onore di conoscerli, piace immaginarmeli tranquilli seduti al tavolino di un bar di Taio, lui intento a sorseggiare l’ amaro, lei occupata a leggere le notizie di cronaca regionale sull’ Adige, quando ad un tratto entrambi si illuminano, si guardano negli occhi e si dicono una sola parola: Slow-theater.
Comunque, i due registi iniziano a progettare questa complicatissima
macchina e a inserire i primi ingranaggi. Il loro intento è trasportare sul
palco un racconto scritto dall’ autore nostrano Giacomo Sartori, intitolato per
l’ appunto “Sacrificio”.
La storia è molto cruda, parla di quel Trentino che molti non sanno esista,e gli altri fanno volentieri finta di non vedere. Una storia che parla di giovani, di conflitti, di alcol, di droga, di tematiche ambientali e di pazzia. Quella pazzia che nasce dal gruppo di protagonisti, e viene covata fino a che non è sufficientemente forte da riuscire a sgretolarlo dall' interno, fino a farlo crollare definitivamente.
La storia è molto cruda, parla di quel Trentino che molti non sanno esista,e gli altri fanno volentieri finta di non vedere. Una storia che parla di giovani, di conflitti, di alcol, di droga, di tematiche ambientali e di pazzia. Quella pazzia che nasce dal gruppo di protagonisti, e viene covata fino a che non è sufficientemente forte da riuscire a sgretolarlo dall' interno, fino a farlo crollare definitivamente.
I due registi hanno poi setacciato il Trentino alla ricerca dei sette
giovani più adatti alle parti dei protagonisti. Alle selezioni iniziali si sono
presentati più di 200 ragazzi, e con molta calma e un percorso meticoloso sono
diminuiti, e poi diminuiti ancora, fino a rimanere sette.
Gli stessi sette che, assieme a quattro aiutoregisti anch'essi selezionati accuratamente, a fine maggio hanno debuttato al teatro Cuminetti
di Trento, e successivamente allo Stabile di Bolzano.
Ora si potrebbero dire molte cose su questo spettacolo.
Si potrebbe parlare del copione ambizioso, che si trova a metà strada
tra una tragedia shakespiriana e una stesura per il cinema.
Si potrebbe parlare della scenografia, che fa vivere nello
stesso istante tre ambienti diversi...oppure dell’ uso delle luci, che contribuiscono a rendere il tutto ancora più inquietante.
Si potrebbero citare i “big” Valeria Ciangottini e Pietro Biondi, che
si sono messi in gioco in questa avventura nuova dando il loro contributo come
attori ma anche come figure di supporto per i giovani e inesperti colleghi.
Tuttavia ritengo di dovermi (e volermi) soffermare soprattutto sui
sette protagonisti di questo lavoro. Sto parlando di Marta, Diego, Katia,
Frank, Anna, Roberto e Aldo, interpretati da Barbara, Flavio, Daniela, Paolo,
Valentina, Elia e Michele.
Ok, Elena e Jacopo hanno ritenuto che loro sono i più adatti al loro
personaggio. Cinque di loro prima di Sacrificio non avevano mai avuto
esperienze teatrali. Un piano suicida?
Magari anche, sicuramente si può dire che i registi hanno scommesso,
hanno scommesso parecchio. Tuttavia ce l’ hanno fatta. Ma ce l’ hanno fatta
anche i ragazzi. Sì, ho conosciuto anche loro, per brevi tratti abbiamo lavorato fianco a fianco. Cos’ hanno
dovuto fare per mettere in scena lo spettacolo? Non hanno dovuto dimostrare a
nessuno di essere diventati i nuovi Gasman, anzi. Tutto ciò che hanno dovuto
fare è stato: diventare "brutti".
Se sono stati scelti è perchè secondo le menti che drigevano il tutto, erano l' essere più simile al
personaggio.
Però va detto che il personaggio ha vissuto una storia che loro grazie al cielo non
hanno tra le loro esperienze, e loro hanno dovuto rendersi brutti, dare il peggio di loro per
avvicinarsi il più possibile.
Nessuno dei protagonisti è positivo, e non c’è nulla di positivo in
questi ragazzi: Marta è succube della sua stessa vita, che le sfugge dalle mani
come un’ anguilla. Ha una forza che non riesce ad esprimere, una voce che
non riesce a far prevalere su quella degli altri anche se forse qualcosa da dire lo avrebbe, si butta via da sola, assieme
al suo amore combattuto per suo cugino (o fratello?), al suo lavoro
fallimentare, e alla sua relazione “di merda” come lei stessa la definisce.
Diego è la sintesi del fallimento. Guardiaparco, rispettoso delle regole, maniaco moralista. A cosa gli serve essere diventato un chirichetto? Assolutamente a nulla, è la pecora nera della
famiglia, sbeffeggiato dal padre e dal fratello bracconieri, costretto ad
aiutarli a macinare carne di cui Dio solo sa la provenienza. Ama e sposa una
donnna che lo ritiene un idiota e lo porterà alla rovina. Cieco e cocciuto come un somaro, ha un ego
troppo grande per rendersi conto di quanto ogni sua decisione sia una cazzata.
Katia è matta come un cavallo, è la malattia, la piaga che porterà quel
gruppo di amici alla rovina, e lo fa perchè è una follia comandata dalla cattiveria pura. Ma anche questa cattiveria non è altro che la risposta ad un susseguirsi di sfortunati eventi.
Frank sotto un certo punto di vista è molto più avanti degli altri,
ragiona, inquadra le cose, capisce come va il Mondo. Ma rovina tutto questo il
fatto che odia tutto e tutti, è un fuorilegge, si prende tutto quel che vuole, e
nonostante ciò ancora non è contento.
Chi, volendo, portebbe essere utile, almeno un poco, sono Roberto e
Anna, quelli un attimo più ragionevoli. Peccato che siano troppo pigri, poco carismatici e
privi di iniziativa. E infatti all’ interno degli intrecci e delle vicende che
si creano risultano totalmente inutili, dei simpatici soprammobili.
Per questo, proprio perchè ho conosciuto personalmente gli attori che li
devono interpretare, comprendo quanto abbiano dovuto violentarsi sotto tutti i punti di vista per
raggiungere lo strabiliante obiettivo ottenuto. Non mi stupisce, al termine
della Prima, aver visto una delle attrici in lacrime.
Uno spettacolo così un po’ di amaro lo lascia alla fine della serata.
La tensione regna sovrana anche nei momenti di calma apparente. Ogni
ingrediente della ricetta contribuisce a rendere la visione molto suggestiva.
Forse da questa esperienza non nasceranno nuovi Divi del teatro,
qualche maligno potrebbe anche dire che se ne poteva fare a meno, ma io davanti allo
sforzo di questi giovani che hanno avuto il coraggio di buttarsi nel buio, e
dei registi che sono riusciti ad afferrarli al volo, non posso che alzarmi in
piedi ed applaudire più forte che posso.
Z.S.
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